Page 4 - IANUS: Diritto e finanza - Rivista semestrale di studi giuridici - N. 29 - giugno 2024 - Presentazione
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interroga il giurista sulla necessità di ripensare con vocazione regolatoria
contenuti disciplinari e tecniche di tutela.
Si deve alla sensibilità degli autori che hanno condiviso l’iniziativa editoriale
un’analisi della normativa foriera di notevoli spunti di riflessione in questa direzione.
I saggi di D’Auria e Degl’Innocenti collocati in apertura della parte
monografica analizzano il testo della direttiva sulla c.d. Corporate Sustainability
Due Diligence (CSDDD): il primo, con riferimento agli obiettivi di riduzione
delle emissioni responsabili del surriscaldamento globale, il secondo nell’ambito
della finalità di prevenzione e arresto dei rischi da impatto ambientale (e sociale)
negativo correlati all’attività produttiva.
Si coglie in questa analisi il comune tentativo di ripensare il concetto d’impresa
nel segno della sostenibilità. Seppure in maniera più anodina rispetto alla
circonlocuzione “catena del valore” impiegata nella Proposta, la c.d. “chain of
activities” consente di acquisire la sostenibilità come uno strumento euristico
tramite cui scandagliare i processi produttivi di valore. In questo contesto, i
fenomeni della esternalizzazione dei processi e delocalizzazione degli impianti
produttivi sono riguardati dalla direttiva alla stregua di scelte strategiche
dell’impresa funzionali alla produzione e appropriazione di valore. Conformemente
al principio di effettività, l’intento sotteso all’articolato disciplinare è riallocare in
capo a chi del valore si appropria la responsabilità giuridica di assumersi i costi, in
qualche modo pertinenziali al valore prodotto, di prevenzione e arresto degli
impatti ambientali ovvero di conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni nei
tempi stabiliti dalle Convenzioni internazionali.
Il delicato profilo della finanziabilità e bancabilità della green economy
costituisce il terreno di analisi e il banco di prova della sostenibilità su cui si
concentrano i due contributi di Salerno e Robles.
L’analisi degli Orientamenti ESMA compiuta sulle regole organizzative e di
condotta delle imprese che prestano i servizi di consulenza e di gestione di
portafogli si apre con una considerazione dell’autrice sulla circostanza che i
costi complessivi che le imprese dovranno sostenere per conformarsi al nuovo
regime sulla valutazione di adeguatezza saranno pienamente compensati dai
benefici derivanti dalla maggiore efficacia di tale valutazione. Si tratta di una
considerazione di particolare spessore per il prosieguo dell’indagine sulla
spinosa questione se le informazioni a carattere “non finanziario” da
somministrare al cliente nella propria strategia di investimento, tra cui gli
elementi di sostenibilità introdotti dalla normativa di secondo livello di cui al
Regolamento 2021/1253 nella disciplina in materia di valutazione di
adeguatezza delineata dall’art. 54 del Regolamento (UE) 2017/565, possano
essere foriere di scelte inadeguate d’investimento.
Nel quadro di un ragionamento significativamente articolato tanto sul rapporto
tra banca e impresa quanto su quella tra banca e pubblica amministrazione,
quest’ultima attraverso l’analisi della disciplina della finanza di progetto
contenuto nel capitolo dedicato al Partenariato pubblico – privato di cui al c.d.
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