Page 28 - IANUS n. 27 - L’ECONOMIA DEGLI INTANGIBILI E LE SUE REGOLE. UN DIALOGO INTERDISCIPLINARE - Atti del Convegno del Dipartimento di Studi Aziendali e Giuridici dell’Università degli Studi di Siena (20-21 ottobre 2022)
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FRANCESCO DENOZZA





               così dire primitivo, che prevede la proprietà collettiva della risorsa. Viene allora
               scoperto che, se i membri della collettività cacciano ciascuno per conto proprio e
               nessuno si preoccupa del ripopolamento, prima o poi la riserva di animali presenti
               sul territorio diminuirà sino ad esaurirsi. Così tutta la storia volgerà in tragedia.
                  Cosa occorre fare per evitare tutto ciò? Risposta: un cambiamento degli assetti
               istituzionali  e  in  particolare  un’ignizione  di  proprietà  privata.  Se  a  ciascun
               cacciatore  viene  assegnata  in  proprietà  una  certa  zona  in  cui  solo  lui  potrà
               cacciare,  egli  sarà  costretto,  se  non  vuole  morire,  prima  o  poi,  di  fame,  a
               preoccuparsi  del  ripopolamento.  Alla  fine,  il  complessivo  sistema  economico
               basato sullo sfruttamento della risorsa produttiva in questione, ristrutturato da
               frazionamenti e privatizzazioni, raggiungerà il suo ottimale equilibrio.
                  La situazione è in realtà alquanto più complicata.
                  Ripartiamo da una distinzione familiare, soprattutto ai marxisti, quella tra forze
               produttive e rapporti di produzione. Senza entrare nel risalente dibattitto sul preciso
               significato dell’una e dell’altra nozione, quello su cui la favola dei beni comuni ci
               invita  a  riflettere,  non  è  la  superiorità  dell’istituzione  proprietà  privata  sulla
               proprietà comune, ma è una possibile asimmetria (una “contraddizione”, per dirla
               in linguaggio hegelo-marxista) tra forze produttive e rapporti di produzione.
                  Se  ci  si  pone  in  questa  prospettiva  (contraddizione  tra  forze  produttive  e
               rapporti  di  produzione)  non  si  tarda  a  scoprire  che  la  proprietà  collettiva  dei
               territori di caccia è perfettamente coerente con una organizzazione sociale in cui
               la caccia avviene in comune e il prodotto della stessa è diviso tra tutti secondo
               regole tradizionali prestabilite. Ciò che manda in crisi questo equilibrio, molto
               prima  di  qualsiasi  sviluppo  delle  forze  produttive  (cioè,  dei  mezzi  tecnici  di
               caccia), è l’arrivo del cacciatore con spirito europeo, il cacciatore, cioè, che si
               appropria personalmente di tutto il prodotto della sua caccia e, soprattutto, che
               caccia non per mangiare e vestirsi, ma per vendere le pelli, in una prospettiva di
               accumulazione che oramai non ha più limiti.
                  È a questo punto, e per questa ragione, che la proprietà comune non funziona
               più.  Un’economia  caratterizzata  da  appropriazione  privata,  e  accumulazione
               senza freni, non è compatibile con la proprietà comune della terra.
                  Se  ora  torniamo  al  tema  degli  intangibili,  e  partiamo  dalla  riconosciuta
               rilevanza dei rapporti di produzione, scopriamo facilmente che il problema non è
               definito solo e tanto dalla presenza degli intangibles, e dalla opportunità di trovare
               accorgimenti istituzionali atti a facilitarne la produzione e l’utilizzazione, ma dal
               fatto che gli intangibles devono inserirsi nei rapporti di produzione caratteristici di
               una economia capitalistica. Devono, in una parola, circolare come merci. Cosa
               che può rivelarsi molto problematica perché molte risorse intangibili hanno, sul
               piano fattuale, caratteristiche che, come ora vedremo, ne rendono decisamente
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               problematica la circolazione come merci .

                  7   Hanno,  come  già  notoriamente  succede  anche  a  quei  beni  (natura,  lavoro,  moneta)  che
               POLANYI  (The  Great  Transformation,  New  York,  2001)  chiamava  “fictitious  commodities”

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