Page 20 - Antonio Valitutti - La nullità della fideiussione a valle di intese violative della normativa antitrust. La decisione delle Sezioni Unite
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ANTONIO VALITUTTI





                  Il che equivale a dire che anche la combinazione di più atti, sia pure di natura
               diversa, può dare luogo, in tutto o in parte, ad una violazione della normativa
               antitrust, qualora tra gli atti stessi sussista un «collegamento funzionale» – non certo
               un  «collegamento  negoziale»,  come  opina  parte  della  dottrina,  attesa  la  vista
               possibilità che l’«intesa» a monte possa essere posta in essere, come nella specie,
               anche mediante atti che non rivestono natura negoziale – tale da concretare un
               meccanismo di violazione della normativa nazionale ed eurounitaria antitrust. In
               altri termini, detta violazione è riscontrabile in ogni caso in cui tra atto a monte e
               contratto a valle sussista un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti
               «funzionale» a produrre un effetto distorsivo della libera concorrenza di mercato.
                  Ebbene, la funzionalità in parola si riscontra con evidenza quando il contratto
               a valle (nella specie una fideiussione) è interamente o parzialmente riproduttivo
               dell’«intesa» a monte, dichiarata nulla dall’autorità amministrativa di vigilanza,
               ossia  quando  l’atto  negoziale  sia  di  per  sé  stesso  un  mezzo  per  violare  la
               normativa antitrust, ovvero quando riproduca – come nel caso concreto – solo
               una parte del contenuto dell’atto anticoncorrenziale che lo precede, in tal modo
               venendo  a  costituire  lo  strumento  essenziale  di  attuazione  dell’intesa
               anticoncorrenziale. Non è certo la deroga isolata – nei singoli contratti tra una
               banca ed un cliente – all’archetipo codicistico della fideiussione, ed in particolare
               agli artt. 1939, 1941 e 1957 c.c., a poter, invero, determinare problemi di sorta,
               come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in termini di effetto
               anticoncorrenziale. È, invece, il predetto «nesso funzionale» tra l’«intesa» a monte
               ed  il  contratto  a  valle,  emergente  dal  contenuto  di  tale  ultimo  atto  che  –  in
               violazione  dell’art.  1322  c.c.  –  riproduca  quello  del  primo,  dichiarato  nullo
               dall’autorità di vigilanza, a creare il meccanismo distorsivo della concorrenza
               vietato dall’ordinamento. In siffatta ipotesi, la nullità dell’atto a monte è – per
               vero  –  veicolata  nell’atto  a  valle  per  effetto  della  riproduzione  in  esso  del
               contenuto del primo atto.
                  E ciò è tanto più evidente quando – come nella specie – le menzionate deroghe
               all’archetipo codicistico vengano reiteratamente proposte in più contratti, così
               determinando  un  potenziale  abbassamento  del  livello  qualitativo  delle  offerte
               rinvenibili sul mercato. La serialità della riproduzione dello schema adottato a
               monte – nel caso concreto dall’ABI – viene, difatti, a connotare negativamente la
               condotta degli istituti di credito, erodendo la libera scelta dei clienti-contraenti e
               incidendo negativamente sul mercato. Sotto tale profilo, è del tutto palese che la
               previsione di cui all’art. 2, c. 3, della l. n. 287 del 1990, laddove stabilisce che «le
               intese vietate sono nulle ad ogni effetto», costituisce una chiara applicazione del diritto
               eurounitario,  il  quale  –  come  statuito  dalla  citata  giurisprudenza  europea  –
               afferma  che  la  nullità  (sancita  dall’art.  101  del  Trattato  sul  funzionamento
               dell’Unione  Europea)  è  «assoluta»,  e  che  l'accordo  che  ricada  sotto  questa
               disposizione  è  privo  di  effetti  nei  rapporti  fra  i  contraenti  e  «non  può  essere
               opposto ai terzi». Si tratta, invero, proprio di quella nullità «ad ogni effetto» che
               sancisce la norma nazionale succitata, e che si riverbera sui contratti stipulati a


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