Page 9 - Giovanni Stella - Fideiussioni omnibus e intesa antitrust: schemi uniformi e prassi del garantire
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IANUS n. 26-2022 ISSN 1974-9805
impeditive e limitative della libertà di concorrenza e che «le intese vietate sono nulle
ad ogni effetto». Inciso quest’ultimo che, tra l’altro, ha fatto tanto discutere fra gli
interpreti, perché secondo alcuni sarebbe un pleonasmo senza alcun riferimento
ai contratti «a valle» ; secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, invece, la
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locuzione per cui le intese sono nulle «ad ogni effetto» avrebbe un’elasticità e
ampiezza tale da comprendere nella nullità anche i contratti a valle in quanto,
appunto, effetto delle intese a monte .
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Va però precisato che queste tre clausole sono state dichiarate anticoncorrenziali
non semplicemente per il fatto di essere applicate in modo uniforme (anche perché
in tal caso tutte le clausole dello schema ABI avrebbero dovuto essere dichiarate
anticoncorrenziali, o comunque almeno altre clausole che prevedono obblighi a
carico del fideiussore). Le ragioni sono un po’ più sottili e trovano la loro
spiegazione in profili attinenti sia alla disciplina antitrust sia al diritto civile. Ciò
che non deve sorprendere, perché uno dei motivi della notevole complessità del
tema oggetto di questo convegno è proprio che esso si pone singolarmente al
confine fra diritto antitrust (quindi diritto amministrativo-industriale) e diritto
civile, trattandosi di valutare da un lato la possibile nullità delle intese a monte fra
imprese in violazione della legge n. 287/1990, ciò che riguarda il diritto antitrust,
da altro lato la nullità a valle dei singoli contratti (fra un’impresa partecipante
all’intesa e il consumatore) che riproducono le intese anticoncorrenziali a monte,
ciò che riguarda anche il diritto civile, e non è facile seguire e conciliare le logiche
del diritto antitrust e del diritto civile.
Ma, ci si chiedeva, perché lo schema ABI è stato dichiarato anticoncorrenziale
solo in parte e non nel suo complesso dato il suo carattere uniforme? Innanzitutto,
va tenuto presente che per il diritto antitrust non basta che un accordo fra imprese
sia genericamente restrittivo della libertà di concorrenza per sancirne
automaticamente l’illiceità sotto il profilo della violazione di tale disciplina. È
sempre riconosciuto all’autorità amministrativa un certo margine di discrezionalità
e flessibilità nello stabilire quali accordi limitativi della libertà di concorrenza vanno
vietati. Si applica una sorta di regola di ragionevolezza (si parla infatti di rule of
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reason) che consentirebbe all’autorità amministrativa di verificare caso per caso se
la violazione della libertà concorrenza derivante da una certa intesa, sia
effettivamente grave e ingiustificabile, e quindi l’Autorità può escludere l’illiceità
15 Cfr. Trib. Treviso, 26 luglio 2019, n. 1623.
16 Invero, l’art. 2 l. antitrust secondo cui «le intese vietate sono nulle ad ogni effetto» ricalca
sostanzialmente, pur con la variazione letterale, l’art. 101 Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea («le intese vietate sono nulle di pieno diritto»). Se si considera che le Sezioni Unite danno atto
pacificamente che la normativa europea non avrebbe preso posizione sulla sorte dei contratti «a valle»
(v. motivazione Cass., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, § 2.14.1.), ne deriva una certa debolezza
dell’affermazione delle medesime secondo cui la norma nazionale, nella sua formulazione relativa alla
nullità delle intese «a ogni effetto», comprenderebbe la nullità dei contratti «a valle».
17 DI VIA, Alcune riflessioni sulla rule of reason ed il concetto di consistenza di una restrizione della
concorrenza, in Dir. comm. int., 1996, 289 ss.
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