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IANUS n. 29-2024 ISSN 1974-9805
Con ciò si vuole sottolineare che il livello di emissioni che l’impresa produce
nello svolgimento della propria attività non costituisce semplicemente un impatto
ambientale negativo che le società saranno tenute a gestire attraverso l’adozione
di adeguate misure di prevenzione e arresto nell’ambito della propria catena di
attività. Del resto, la produzione di emissioni di anidride carbonica non è né
prevenibile né arrestabile ma tutt’al più mitigabile.
Semmai, il “net zero target” quale obiettivo politico da raggiungere entro il
2050 costituisce la ragione per imporre alle grandi imprese multinazionali
l’obbligo di modificare in maniera coerente il proprio modello di business e la
strategia produttiva allo scopo di limitare il rilascio di emissioni carboniche :
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insomma, non un rischio, attuale o potenziale da arrestare o prevenire, ma un
obiettivo da raggiungere.
Gli Stati membri avranno due anni per adeguare la propria normativa
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all’obiettivo della lotta ai cambiamenti climatici . Peraltro, il testo della direttiva
chiarisce che, a seconda dei requisiti dimensionali, le imprese disporranno di un
ulteriore periodo di tempo dall’entrata in vigore della direttiva, per soggiacere
all’applicazione delle sue prescrizioni. Nondimeno, pare utile avviare una
riflessione sull’impatto che la direttiva appena approvata già produce, anzitutto
sul piano concettuale. Questo pare il punto di partenza per impostare un discorso
propedeutico sia al suo recepimento, sia anche a rispondere all’interrogativo se e
quali operazioni interpretative conformi agli obiettivi comunitari possano essere
già eventualmente intraprese, indipendentemente dal recepimento della direttiva
e già prima del termine di attuazione .
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emissioni nette a livello mondiale entro il 2050, per evitare dichiarazioni fuorvianti riguardo a tale allineamento
e per porre fine al greenwashing, alla disinformazione e all'espansione dei combustibili fossili a livello mondiale
al fine di conseguire gli obiettivi climatici internazionali ed europei”.
4 Ma sull’evanescenza di simili proclamazioni, v. M. LIBERTINI, Doveri ambientali, sviluppo
sostenibile e diritto commerciale, in Doveri intergenerazionali e tutela dell’ambiente. Sviluppi, sfide e prospettive
per Stati, imprese e individui, a cura di P. PANTALONE, Il diritto dell’economia, 2021
5 È peraltro il caso di osservare che la direttiva appena approvata si inserisce nel quadro di un
plesso disciplinare che già contempla l’obiettivo della mitigazione dei cambiamenti climatici nel
novero delle procedure ex art. 3 lett. c) e 18 Reg. UE 2020/852., che l’impresa è tenuta ad attuare
al fine di garantire che sia in linea con le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali e
con i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, inclusi i principi e i diritti stabiliti
dalle otto convenzioni fondamentali individuate nella dichiarazione dell’Organizzazione
internazionale del lavoro sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e dalla Carta internazionale
dei diritti dell’uomo, il tutto nel rispetto del principio «non arrecare un danno significativo» di cui
all’articolo 2, punto 17), del regolamento (UE) 2019/2088.
6 C. Giust. CE 16 dicembre 1993, C-334/92, Wagner Miret, in Racc., I-6811, par. 20;
Conclusioni dell’avv.to generale TIZZANO, Mangold, cit., punti 115 e 120 ove si legge ““anche i
giudici devono fare tutto il possibile, nell’esercizio delle loro competenze, per evitare che il risultato
voluto dalla direttiva possa essere compromesso. In altri termini, essi devono ugualmente sforzarsi
di privilegiare l’interpretazione del diritto interno più aderente alla lettera e allo spirito della
direttiva”. L’interpretazione conforme non opera sia in presenza di principi dell’ordinamento
interno in conflitto con i contenuti della direttiva (Cfr. C. Giust. CE 7 marzo 1996, C-192/94, in
Racc., 1996, I-1281) sia in mancanza di norme interne che possono essere interpretate alla luce della
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