Page 52 - IANUS Diritto e finanza - Rivista semestrale di studi giuridici - N. 29 - giugno 2024 - Il diritto alla sostenibilità: strumenti giuridici della transizione ecologica
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FRANCESCA DEGL’INNOCENTI
collaborazione di tipo reticolare, al contempo consentendo la potenziale
realizzazione di efficienze di mercato per l’intera filiera produttiva anche sul
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piano competitivo e dell’innovazione .
Come si diceva, ciò è reso possibile dal condizionamento reciproco dei
programmi economici delle diverse attività in cui si strutturano le varie “catene
di attività” e, sul piano regolatorio, dal ricorso ad una disciplina transtipica. Nel
contesto del diritto europeo dei contratti, l’introduzione di una cornice giuridica
comune riguardante “gruppi di contratti” e non (solo) singole fattispecie negoziali
è una tendenza che ben si comprende in relazione agli atti di armonizzazione,
visto lo specifico interesse a che la disciplina legislativa sia recepita nel rispetto
delle (insuperabili) divergenze fra diritti nazionali, e ampiamente giustificata
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laddove la normativa abbracci fenomeni dinamici e complessi . Ciò non equivale
a disconoscere qualsiasi operazione ermeneutica volta, nelle diverse discipline
domestiche di recepimento, a ricercare i “tipi” di riferimento, essendo logico che
i rapporti contrattuali concretamente interessati dalla normativa siano quelli
strumentali agli scopi produttivi e distributivi del sistema decentrato in cui si
strutturi l’organizzazione economica (somministrazione, appalto di opera,
fornitura, somministrazione, etc.), senza, tuttavia, che il tipo sociale venga
necessariamente appiattito su quello legale.
Tale dato è comune ai due concetti che abbiamo analizzato, con la differenza
che la nozione di value chain è dotata di maggiore ampiezza (in quanto inclusiva
anche delle fasi di utilizzo e di prestazione del servizio) e sottende anche una
precisa finalità “conoscitiva”, di cui invece la nozione di chain of activities pare
sprovvista.
È solo il caso di ricordare come, nell’ambito delle teorie economiche
propugnate nella metà degli anni Ottanta da Michael Porter, il concetto di catena
di valore sia stato elaborato in funzione di disaggregare “un’azienda nelle sue
attività strategicamente rilevanti allo scopo di comprendere l’andamento dei costi
e le fonti esistenti e potenziali di differenziazione” rispetto alle attività svolte dalle
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imprese concorrenti .
In sostanza, l’elemento che consente di ricondurre certe attività ad una catena
di valore, più che afferente alle loro caratteristiche tecniche, risiede nel contributo
alla creazione del vantaggio competitivo. La costruzione degli obblighi intorno al
concetto economico ora esposto sembra svolgere, quindi, precise finalità
conoscitive, consentendo di esplorare i criteri di differenziazione con altri
25 L’argomento è sviluppato in DEGL’INNOCENTI, Verso un’autonomia contrattuale sostenibile, cit.,
126 ss. In tema, cfr. GRUNDMANN, Processi decisionali nei contratti a catena e nelle reti di con- tratti, in
MICKLITZ-VETTORI (a cura di), What is european in european private law? Che cosa c’è di europeo nel diritto
privato europeo?, Milano, Giuffrè, 2022, 95 ss.
26 Sulla debole caratterizzazione in senso tipologico del diritto europeo dei contratti, cfr., per
tutti, MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Torino, Giappichelli, 2020, 164.
27 PORTER, Il vantaggio competitivo, Torino, Einaudi, 2004, specie 43 ss., e ID., Competitive
Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance, New York, Free Press, 1985.
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