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FRANCESCA DEGL’INNOCENTI
società “solo la parte a monte, ma non quella a valle, della loro catena di attività è
disciplinata” dalla direttiva (considerando n. 26).
La differenza più evidente fra le due definizioni è rappresentata, dunque,
dall’esclusione dal concetto di chain of activities delle fasi dell’utilizzo del prodotto
o della prestazione del servizio, e, limitatamente alle imprese finanziarie
regolamentate, il riferimento esclusivo alle attività a monte della catena.
Si tratta di una scelta legislativa che senz’altro limita le potenzialità della
normativa sul piano della prevenzione e della deterrenza, in quanto sottrae alla
supervisione (e quindi alla responsabilità) dell’impresa di “vertice” fasi che
possono avere impatti sociali e ambientali estremamente significativi, soprattutto
laddove l’utilizzatore finale del prodotto o del servizio o il cliente a cui fare credito
sia un’impresa operante in un settore sensibile. Indubbiamente sussistono limiti
di ragionevolezza nella definizione della misura di diligenza concretamente
esigibile dalla grande impresa (tenuta ad una “obbligazione di mezzi”, secondo
la direttiva), in ragione dell’effettiva capacità di identificazione dei potenziali
rischi e della concreta possibilità di svolgere gli opportuni controlli (mediante
ispezioni, richieste di report periodici, accessi ai locali, etc.), ma il restringimento
dell’ambito operativo sembra più dettato dall’esigenza di raggiungere un
compromesso politico fra le parti coinvolte, dopo tutta una serie di complessi
negoziati intercorsi a livello interistituzionale e di atteggiamenti ostruzionistici di
alcuni Stati membri, che fino all’ultimo hanno destato preoccupazioni sul buon
esito dell’iter legislativo .
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Una soluzione ad ogni modo che, proprio sotto i profili ora menzionati,
differisce da quella operata dall’ordinamento tedesco il quale, nella legge
Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz (Act on Corporate Due Diligence in Supply Chain
dell’11 giugno 2021 e in vigore dal 2023), pone gli obblighi di due diligence a carico
delle imprese che operano nella catena di approvvigionamento, ricomprendendo
in tale nozione i processi sviluppati in Germania o all’estero necessari per la
realizzazione e distribuzione, fino al cliente finale, di “tutti i servizi e i prodotti
18
dell’impresa”, inclusi quelli a carattere finanziario .
17 Già il Consiglio europeo, nel suo orientamento generale del 30 novembre 2022, aveva
proposto di sostituire al concetto di “catena di valore”, contenuto nella proposta della
Commissione, quello più neutro di “catena di attività”, sostanzialmente al fine di
circoscrivere l’ambito di applicazione alla “catena di approvvigionamento” (art. 3, lett. g), la quale,
come chiarito, comprende tutta una serie di attività attinenti al medesimo ciclo produttivo e
riguardanti la produzione, il trasporto, la distribuzione, lo stoccaggio e lo smaltimento per conto
dell’impresa, ma con esclusione della fase di utilizzo del prodotto o della prestazione del servizio.
Come si evince dall’art. 36 (“riesame e relazioni”) e dal considerando n. 98 della direttiva (nella sua
versione definitiva), la revisione della definizione di “catena di attività” è un’opzione comunque
espressamente contemplata e andrà ponderata in base agli impatti che discenderanno
dall’applicazione della normativa.
18 Nella legge tedesca il contenuto degli obblighi di due diligence varia a seconda dell’area e del
livello cui tali doveri afferiscono: su tale profilo e per un commento all’articolato, cfr. GUERCINI, La
legge tedesca sugli obblighi di due diligence nella supply chain (Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz –
LkSG), in Riv. dir. soc., 2022, 2, 400 ss., e, nella letteratura tedesca, WIATER, Unternehmerische
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