Page 5 - Antonio Marinello - La rarefazione della sovranità tributaria dello stato nell’era dell'economia digitale e il progetto della Global Minimum Tax
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IANUS n. 27-2023 ISSN 1974-9805
potrebbe anche avere conseguenze non necessariamente negative. Se
mantenuta entro limiti ragionevoli e senza eccessi distorsivi, potrebbe perfino
determinare effetti virtuosi, in quanto una competizione “leale” tende a
plasmare e rendere comparabili su scala globale le aliquote e i criteri di
determinazione delle basi imponibili, il che può tradursi in un fattore di
attrattività per gli investimenti internazionali e garantire un miglioramento in
termini di efficienza produttiva.
Il punto è, però, che in tempi più recenti l’utilizzo “competitivo” della leva
fiscale si è diffuso anche a prescindere da qualsiasi valutazione realistica di
politica economica ed ha assunto sempre più frequenti connotazioni distorsive
rispetto alle normali logiche di mercato.
In questi termini, pertanto, la concorrenza fiscale presenta per lo più i tratti di
una competizione “sleale” (harmful tax competition), in quanto viene ricondotta a
forme di detassazione aggressiva e selettiva, che interessano, ad esempio, alcuni
flussi reddituali caratterizzati da una maggiore “volatilità” (come gli interessi, i
dividendi, le royalties), o che mirano alla localizzazione anche solo formale di
alcune imprese multinazionali (specie del settore finanziario, o dell’economia
“intangibile”), senza peraltro promuovere una crescita effettiva del sistema
produttivo interno .
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In questa accezione, certamente deplorevole, la competizione fiscale non
può dunque trovare assoluzione, in quanto si risolve in vere e proprie forme
di detassazione ingiustificata e selvaggia, fondandosi su scelte di politica
tributaria particolarmente aggressive. Le conseguenze di queste pratiche più
estreme sono un processo costante di erosione delle basi imponibili e di
dislocazione artificiosa dei profitti delle imprese multinazionali, con effetti che
non possono certo considerarsi virtuosi sull’efficienza allocativa dei fattori
produttivi.
Di qui l’identificazione di pratiche che comportano una competizione fiscale
“dannosa”, che si concretizza appunto nell’adozione di politiche tributarie da
parte di un determinato Stato le quali si rivelano, almeno potenzialmente,
eversive rispetto all’ordinamento fiscale della maggioranza degli altri Paesi, in
quanto introducono elementi di agevolazione o comunque di vantaggio fiscale
che inducono gli operatori economici a selezionare quella specifica giurisdizione
per stabilirvi le proprie attività, allocarvi le proprie risorse, farvi transitare i fattori
della produzione, e così via .
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3 Cfr. PIKETTY, Il capitale nel XXI secolo, Milano, 2014, 776 ss.
4 Cfr. BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2017, 264. Sul concetto di concorrenza fiscale
“dannosa”, per come a suo tempo individuato dal Codice di condotta dell’UE, cfr. LA SCALA. I
principi fondamentali in materia tributaria in seno alla costituzione dell’Unione europea, Milano, 2005, 424
ss.
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