Page 8 - Antonio Marinello - La rarefazione della sovranità tributaria dello stato nell’era dell'economia digitale e il progetto della Global Minimum Tax
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ANTONIO MARINELLO
alla luce della tradizionale configurazione del divieto di aiuti di Stato non può
essere revocata in dubbio la potestà degli Stati membri di scegliere la politica
economica che ritengono più appropriata e, in particolare, di ripartire la pressione
fiscale nella maniera che prediligono sui diversi fattori della produzione. Basti
pensare, al riguardo, che l’art. 107 TFUE ha finora imposto di distinguere
nettamente il tema della concorrenza fiscale da quello della concorrenza tra
operatori economici: nonostante i più recenti sviluppi in materia – a proposito, in
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particolare, delle note vicende che hanno riguardato i rulings fiscali – il
riferimento essenziale utilizzato dalla Commissione per parametrare la
valutazione delle misure fiscali rimane il regime tributario generale del Paese
considerato. In questo senso, perciò, una disposizione fiscale più favorevole
rispetto a quella vigente in un diverso Paese – e per quanto qui interessa,
precisamente, una riduzione generalizzata dell’aliquota di imposta sui redditi
societari – è di certo suscettibile di attribuire un vantaggio alle imprese che
rientrano nel suo campo di applicazione e può avere un impatto significativo sulla
loro posizione rispetto ai concorrenti, ma non è censurabile sotto il profilo degli
aiuti di Stato fintantoché interessa tutti gli attori economici e tutte le produzioni
operanti nel Paese, senza integrare il requisito della selettività.
Per dare un senso a queste osservazioni, allora, la riflessione che va fatta
diventa un’altra. Occorre, cioè, domandarsi se la corsa sfrenata al ribasso delle
aliquote sui redditi societari corrisponda davvero a una manifestazione di
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“sovranità tributaria” .
Più precisamente, il quesito di fondo può essere riassunto in questi termini: se
la race-to-the-bottom è indotta dalla concorrenza fiscale dei Paesi più spregiudicati,
si può dire davvero che sia il frutto di una scelta libera ed autonoma dello Stato
che decide di intraprenderla? Ed in questi casi, evocare la sovranità dello Stato in
materia tributaria non diventa forse un puro esercizio di stile, un feticcio, un
guscio vuoto? In questo modo, l’esercizio del potere sovrano dello Stato non si
9 La concorrenza fiscale tra Stati membri non è di per sé vietata dal diritto dell’Unione europea,
trattandosi anzi di un possibile effetto della piena implementazione delle libertà di circolazione
previste dai Trattati. A essere vietati in modo esplicito sono però quei comportamenti, sia delle
imprese che sfruttano in modo artificioso le libertà di circolazione, sia degli Stati membri che non
si limitano a stabilire aliquote basse per tutte le imprese operanti sul loro territorio, bensì concedono
soltanto ad alcune di esse un trattamento fiscale di favore, ostacolando in tal modo la concorrenza.
Nei casi più noti alle cronache, come la vicenda Apple, è chiaro che rulings come quelli accertati
dalla Commissione rientrano nel novero dei regimi fiscali patologici e, se li si osserva dal punto di
vista dello Stato, tali accordi non producono altro che un forte arretramento sul piano della
sovranità. Se un Paese membro è costretto a negoziare con un’impresa multinazionale e a
concederle un’aliquota irrisoria sugli enormi profitti prodotti, il sottinteso è infatti inequivocabile:
vuol dire che si abdica, in tutto o in parte, dall’esercizio della potestà impositiva, con riflessi sul
benessere della collettività, sulle politiche di sostegno alle fasce più vulnerabili della popolazione.
Cfr., per questi rilievi, PITRUZZELLA, La concorrenza fiscale nel processo di integrazione europea, in
AA.Vv., La concorrenza fiscale tra Stati, 40 ss.
10 Per più ampie considerazioni cfr., se si vuole, MARINELLO, Sovranità dello Stato e global
minimum tax, Pisa, 2023, 178 ss.
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