Page 9 - Antonio Marinello - La rarefazione della sovranità tributaria dello stato nell’era dell'economia digitale e il progetto della Global Minimum Tax
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IANUS n. 27-2023 ISSN 1974-9805
riduce forse a mera illusione, a semplice apparenza?
Come si è scritto efficacemente, quella che in corso è, in effetti, una vera e
propria guerriglia fiscale . Il tributo, specialmente sui redditi e sui patrimoni,
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viene esposto come una merce, e la politica tributaria dello Stato viene così
sacrificata sull’altare della competizione fiscale globale.
Intendere il tributo come merce è però pericoloso e dannoso: lo è perché
attenta alla pace sociale delle singole comunità e ancora prima alle loro economie,
al loro sistema di welfare, al lavoro, all’integrazione tra i popoli. E lo è perché mina
uno degli elementi di unificazione della collettività: la redistribuzione delle
ricchezze, da effettuare anche attraverso politiche fiscali uniformi ed eque.
Ecco il motivo per il quale la questione della concorrenza fiscale e del tributo-
merce si collega strettamente al tema della sovranità tributaria dello Stato.
In apparenza, la race-to-the-bottom dell’imposizione societaria può dunque
essere descritta come una pura scelta tecnica, ricompresa nell’alveo delle
attribuzioni sovrane dello Stato. Nei fatti, però, se portata a conseguenze estreme,
e se indotta da un contesto globale nel quale il tributo perde ogni caratterizzazione
redistributiva e solidaristica per diventare una semplice merce di scambio, rischia
di diventare una questione più seria, una questione di etica pubblica, di equità
della tassazione, di convivenza ordinata degli Stati e fra gli Stati.
La conseguenza è, per dirla ancora più chiaramente, che al di là dei benefici
conseguibili nel breve e medio periodo, una strategia di politica fiscale così
congegnata, basata su una rovinosa corsa al ribasso della tassazione sugli utili
d’impresa, finisce per sottrarre enormi risorse alle politiche di sviluppo, alla lotta
alle disuguaglianze e alla povertà, con conseguenze che rischiano di colpire in
modo trasversale molti degli attori coinvolti. E anche a volerla osservare dal punto
di vista delle imprese, una consimile forma di concorrenza fiscale, oltre che lesiva
delle finanze dei Paesi cui vengono sottratte risorse, si può considerare distorsiva
della concorrenza nel mercato, in quanto concede “possibilità di cannibalismo”
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a quelle multinazionali che riescono a versare contribuzioni irrisorie.
Su questo versante, allora e per concludere, la tax competition presenta
implicazioni che vanno oltre il profilo strettamente tributario, configurandosi
come un fenomeno che produce conseguenze di più ampio respiro e può avere
altresì importanti risvolti di carattere sociale. La concorrenza fiscale tra Stati
costituisce infatti un fattore suscettibile di spostare in modo artificioso enormi
ricchezze private da una giurisdizione all’altra, incrementando così
disuguaglianze economiche già esistenti, o creandone di nuove, mentre l’erosione
del gettito tributario che ne deriva presenta inevitabilmente un impatto sulle
11 Cfr. GIOVANNINI, Il “tributo merce” e il simulacro dell’Europa unita: Apple, Google & Co.
12 L’espressione è di PITRUZZELLA, La concorrenza fiscale nel processo di integrazione europea, 41, il
quale giustamente osserva come in questa situazione «non ci sono vincitori nella corsa al ribasso
sulla tassazione dei profitti delle grandi imprese. A rimetterci sono le piccole e medie imprese
nazionali e i cittadini, che pagano più tasse e non hanno accesso a servizi essenziali come istruzione
e sanità».
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