Page 82 - IANUS Diritto e finanza - Rivista semestrale di studi giuridici - N. 29 - giugno 2024 - Il diritto alla sostenibilità: strumenti giuridici della transizione ecologica
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MARIANO ROBLES
catastrofi naturali, determinate da fattori ambientali, e lo sfruttamento intensivo
delle risorse rappresentano altrettante «diseconomie» incidenti sul sistema
produttivo: in tale prospettiva, lo sviluppo sostenibile si eleva a rango di componente
imprescindibile di adeguatezza gestionale scrutinabile ex art. 1176, comma 2, c.c.
sulla base dei riferiti criteri, potendo altresí adombrare comportamenti
«anticoncorrenziali» ex art. 2598, n. 3, c.c. (sotto forma di c.d. dumping), ad
indebito vantaggio di quanti se ne sottraggano.
In definitiva, nella misura in cui l’ambiente appare sempre più elemento di
selezione nel mercato, le imprese che riescono ad interpretarlo come opportunità di
rilievo economico hanno maggiori chances di successo, in qualità di partners più
affidabili e finanziariamente profittevoli. In tale prospettiva, ossia quella di
«influenzare il mercato inducendolo a lavorare per l’ambiente», il sesto
programma d’azione comunitaria prevede, non a caso, l’utilizzo di strumenti
“non normativi”, che «orientano i mercati e la domanda dei consumatori verso
prodotti e servizi ecologicamente superiori, garantendo che, per quanto possibile,
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il prezzo dei prodotti incorpori il reale costo ambientale» .
E tuttavia, il rischio ambientale cui gli operatori economici vanno incontro risulta
difficilmente valutabile, da parte delle banche, con il ricorso ai tradizionali parametri;
dunque, la diffusione di strumenti di certificazione ambientale − secondo gli standard
internazionali UNI EN ISO 14000 o secondo il regolamento EMAS −
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consentirebbe di stemperarne la portata in relazione alle singole aziende richiedenti
supporto finanziario, con contestuale vantaggio in termini di celerità e trasparenza.
Si va, dunque, affermando l’opinione per cui, in generale, il settore creditizio
veicola (risultando «responsabile» di) un notevole impatto ambientale (sia pure)
“indiretto”, poiché determina quali imprese e attività abbiano accesso al capitale
e a quali condizioni. Non mancano, pertanto, proposte secondo le quali le
decisioni di finanziamento ai fini dell’erogazione debbano incorporare
necessariamente anche il rischio ambientale e si debba considerare la c.d.
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environmental due diligence – come si vedrà – quale criterio orientatore nelle scelte
attinenti alla stessa valutazione della clientela.
28 Cosí, M.R. SPASIANO, I soggetti della politica ambientale in Italia, in D. DE CAROLIS, E. FERRARI,
A. POLICE (a cura di), Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Milano, 2006, p. 174. Di tal
guisa, strumenti come «EMAS» e «Ecolabel» divengono preziosi indicatori, in grado di suscitare
negli operatori economici un interesse alla qualità dell’ambiente.
29 L. ANDRIOLA, G. INGRISANO, G. SAMPOGNARO, Banche, ambiente e sviluppo sostenibile.
L’adesione degli istituti finanziari al regolamento EMAS, Roma, 2001 (disponibile in osti.gov).
30 Ad essa correlati emergono profili di liability risk, inteso quale rischio di responsabilità
patrimoniale a seguito della perdita di valore di partecipazioni in imprese not environmental
compliance, nonché il c.d. rating «ambientale», ossia la valutazione dei rischi che l’impresa sopporta
a causa di fattori ambientali che interagiscono con la sua attività. In questa nuova prospettiva,
vengono in considerazione altri fattori come la valutazione dell’inquinamento prodotto (ove sia tale
da inficiare l’esatto adempimento prestazionale), nonché la “sensibilità ambientale” degli
stakeholders, che potrebbe provocare danni di immagine (all’impresa e di riflesso) alla banca
dell’impresa inquinante. V. anche, infra, § 11 e nota 58.
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