Page 15 - IANUS n. 28 - La rilettura dei paradigmi giuridici tradizionali alla luce dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile
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IANUS n. 28-2023 ISSN 1974-9805
crisi globali che affliggono il Pianeta, ed in particolare la perdita della biodiversità
e di habitat naturali, l’acidificazione, l’inquinamento e lo sfruttamento eccessivo
degli oceani, le calamità, come tempeste e incendi che ormai si verificano tutto
l’anno, e l’insistente razzismo, sessismo e xenofobia che emergono nei casi di
ingiustizia ambientale e nella prassi internazionale sia legislativa che politica.
Facendo un passo indietro, la governance globale si trova ad affrontare crisi di
vario genere simultaneamente: squilibri di potere di ogni tipo, incluso la
sproporzione dei benefici ottenuti da chi viola un diritto e crea un danno
all’ambiente rispetto a coloro che subiscono tale danno; la chiusura delle frontiere
e l’amplificazione dei richiami al nazionalismo e al protezionismo; il crescente
autoritarismo che minaccia direttamente la democrazia e lo stato di diritto; un
sistema economico oppressivo e onnicomprensivo che si fonda su valori ostili al
pensiero e all’agire propri della collaborazione di una comunità internazionale
solidale, come l’obiettivo egoistico di emergere a danno di altri; la persistente e
violenta discriminazione dell’“altro” – inteso come l’insieme di coloro che
guardano, pensano o credono in modo diverso, coloro che sono più vulnerabili,
coloro che sono svantaggiati. Questo è il contesto in cui gli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile sono nati ed esistono tutt’oggi, il che fa sollevare seri dubbi sulla
capacità di chi li ha adottati (Stati e organizzazioni internazionali), sulle loro
caratteristiche originarie e, di conseguenza, sulla loro effettiva possibilità di
attuazione.
Sebbene la creazione degli SDG sia avvenuta attraverso e nell’abito delle
comunità locali (popolazioni, gruppi sociali) in tutto il mondo, la codificazione
definitiva di tali obiettivi è avvenuta nei termini definiti dagli Stati. Solo questi
ultimi hanno avuto il potere di modificare, negoziare e controllare il dialogo e la
forma definitiva del documento finale. Tuttavia, Gli Stati, inconsapevolmente o
forse peggio egoisticamente, alla fine hanno creato e hanno adottato qualcosa che
contrasta con i sistemi di governance che loro stessi hanno creato e utilizzano.
L’esempio più lampante di questo conflitto è rappresentato dal modo in cui gli
SDG tentano di risolvere le grandi crisi globali, ossia la povertà, la fame nel
mondo, la violenza, la violazione dei diritti fondamentali della vita, attraverso lo
stesso sistema che ha portato a quelle crisi, ossia il modello di sviluppo
incontrollato. Abbiamo ormai dati che ci dimostrano che tale obiettivo non è
realistico anche perché dalla ricerca di raggiungimento dello stesso derivano crisi
di governance internazionale, di giustizia ed equità sociale, oltre che la crisi di
identità degli stessi attori internazionali.
È chiaro quindi come il problema risalga alle origini, poiché dopo tutto, qual
è l’identità dello sviluppo? Pur essendo gli SDG finalizzati a riconoscere i diritti
delle generazioni presenti e future, a promuovere la pace e la prosperità, essi si
fondano su un termine nel nome del quale storicamente sono stati negati alcuni
valori umani fondamentali e si è consentita la distruzione dell’ambiente. Lo
sviluppo – e le azioni che sono state compiute a giustificazione di esso hanno
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