Page 128 - IANUS n. 26 - Fideiussioni omnibus e intesa antitrust: interferenze e rimedi
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MARILENA RISPOLI FARINA
garanzia, alimentati con somme provenienti dalle banche associate, sono in
primo luogo deputati al rimborso dei depositanti (entro il limite massimo dei
100mila euro) in caso di liquidazione coatta amministrativa. La disciplina dei
fondi è stata di recente aggiornata, prevedendo una contribuzione, sia ex ante
(indipendentemente dalle singole crisi), sia ex post, tramite richiamo di fondi, in
caso di necessità. Il rimborso dei depositanti, che in astratto sarebbe la funzione
primaria dei fondi, di fatto è stata utilizzata raramente, in quei pochi casi, cui si è
accennato, in cui alla crisi non si è trovata soluzione e si è dovuto dare luogo ad
una vera e propria liquidazione coatta. La soluzione privilegiata è stata sempre
quella di un intervento preventivo “di sostegno” del fondo, tendente o ad evitare
la liquidazione coatta tramite una riorganizzazione ed un ritorno in bonis della
banca, o ad agevolare la cessione di attività e passività ad altra banca. L’attività
di sostegno, prevista dagli statuti dei fondi, è sempre stata decisa dagli organi del
fondo, con l’approvazione della Banca d’Italia, in base al criterio del “minor
costo”: in sostanza, l’attività di sostegno è stata posta in essere tutte le volte che il
rimborso dei depositanti avrebbe avuto per il fondo un costo maggiore (o ben
maggiore, come sarebbe stato nella gran parte dei casi) rispetto all’esborso
necessario per sostenere ed agevolare la cessione di attività e passività ad altra
banca. L’intervento è stato anche posto in essere dal FITD, ma in casi rari e con
strumenti più limitati, al fine di operazioni di riorganizzazione bancaria. Tale
intervento è stato ancor più determinante dopo la cosiddetta “liberalizzazione”
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dell’apertura degli sportelli bancari .
L’intervento preventivo dei fondi ha assunto, nei singoli casi concreti ed in
relazione alle singole necessità, una molteplicità di forme, tra le quali possono
ricordarsi le principali: a) la copertura del cosiddetto “disavanzo” di cessione, in
caso di “patrimonio negativo” della cedente (o comunque di sbilancio negativo
tra attività e passività cedute); b) il rilascio di garanzie in caso di prestiti
subordinati; c) l’acquisizione di parte delle sofferenze della cedente, al fine di
evitarne il trasferimento alla cessionaria; d) la contribuzione alle spese di cessione
o di altre attività connesse alla cessione, nonché alla riorganizzazione e alla
riqualificazione degli sportelli ceduti.
Prima del noto “caso Tercas”, il quadro era quello delineato. Una situazione che
per molti decenni aveva dato risultati molto soddisfacenti, risolvendo all’interno del
sistema bancario stesso le crisi, ed evitando effetti negativi sui depositanti e sul
31 Va ricordato infatti che in passato, specie negli anni Settanta del secolo scorso, la politica
restrittiva dell’Organo di vigilanza in merito all’apertura degli sportelli induceva le banche che
volessero espandersi, anche territorialmente, ad acquisire gli sportelli delle banche in difficoltà, anche
assumendosene parte delle passività e delle problematiche, costituendo esse in sostanza un “costo”
dell’acquisizione, e venendo spesso meno la necessità di un intervento esterno. In seguito alla
liberalizzazione dell’apertura degli sportelli l’interesse delle banche all’acquisizione degli sportelli di
una banca in difficoltà è oggi venuta meno, anche a causa della perdita di valore degli sportelli ed ai
diffusi fenomeni di inutile sovrapposizione sulle medesime piazze, per cui si è reso necessario
incentivare il soccorso di una banca in bonis a favore di una banca in difficoltà, o quantomeno ad
alleviare le problematiche che derivano alla banca cessionaria dall’operazione di acquisizione.
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