Page 6 - Vincenzo Denicolò - Beni intangibili e potere di mercato
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VINCENZO DENICOLÒ





               ricerca di Google e l’apparato logistico di Amazon hanno raggiunto un alto livello
               di  efficienza,  ma  supponiamo  che  qualcuno  riesca  a  sviluppare  un  motore  di
               ricerca ancora migliore di quello di Google o un sistema di logistica più efficiente
               di quello di Amazon. Per scalzare queste imprese dalla loro posizione dominante,
               i nuovi rivali dovrebbero comunque superare la barriera all’ingresso rappresentata
               dalle  esternalità  di  rete,  e  quest’ultimo  ostacolo  sembra  ancora  più  grande  di
               quanto non sia lo sviluppo di prodotti o servizi migliori.
                  La conseguenza è che il potere di mercato generato dalle esternalità di rete ha
               un’altissima persistenza nel tempo. Microsoft, ad esempio, domina il mercato dei
               sistemi  operativi  dalla  metà  degli  anni  ’80,  mentre  Google  ha  una  posizione
               dominante nei motori di ricerca almeno dalla fine degli anni ’90; lo stesso vale
               per Amazon. Se il potere di queste imprese fosse basato su brevetti, sarebbero già
               scaduti da tempo, consentendo ai concorrenti di entrare nel mercato. Invece, al
               momento  non  sembra  ancora  apparso  all’orizzonte  chi  potrà  competere
               efficacemente con questi monopolisti.


               3. Monopolio e innovazione

                  Al di là delle evidenti differenze, vi sono quindi importanti analogie tra diritti
               di proprietà intellettuale ed esternalità di rete. Entrambi sono fonti di potere di
               mercato,  e  di  entrambi  a  beneficiare  sono  degli  innovatori.  Nel  caso  della
               proprietà intellettuale, ciò è il risultato di un’esplicita volontà del legislatore; nel
               caso delle esternalità di rete, si tratta invece di una semplice regolarità empirica.
               Ma  la  conseguenza  è  simile:  ci  si  può  cioè  chiedere  se  i  monopoli  dovuti  al
               controllo di beni intangibili non possano essere giustificati, dal punto di vista
               sociale, come una forma di remunerazione dell’attività innovativa.
                  La tesi è familiare a chiunque si occupi di proprietà intellettuale: il monopolio
               di cui beneficia l’inventore è un prezzo che la società deve pagare per incentivare
               l’attività  di  ricerca.  Chi  investirebbe,  per  esempio,  nella  creazione  di  nuovi
               farmaci – un’attività notoriamente molto costosa e rischiosa – se non avesse la
               prospettiva un certo periodo di esclusiva? Sul piano logico, è evidente che la stessa
               argomentazione può essere applicata anche alle innovazioni che permettono di
               appropriarsi dei benefici creati dalle esternalità di rete.
                  Ma questa logica non implica che qualunque monopolio di cui godano gli
               innovatori sia giustificato. Ci si deve chiedere se il livello del potere di mercato e
               la  sua  durata  rappresentino  un  incentivo  sufficiente  o  eccessivo  a  stimolare
               l’attività  innovativa,  dato  che  il  potere  di  mercato  comporta  anche  dei  costi
               sociali.  Questo  interrogativo  deve  essere  posto  separatamente  per  le  diverse
               categorie di beni intangibili, perché è del tutto possibile che in certi casi il potere
               di mercato degli innovatori sia eccessivo e in altri insufficiente.
                  Evidentemente,  il  problema  è  quantificare  il  grado  ottimale  di  potere  di
               mercato. Per ottimale qui si deve intendere quello che massimizza il benessere


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