Page 8 - Federico Picco - La (difficile) quotazione in borsa delle imprese intangibili. Criticità e impatti sui mercati dei capitali
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FEDERICO PICCO





                  La contrazione dimensionale della borsa in Italia è ascrivibile a un novero di
               nuove quotazioni molto ridotto (5 IPO in media dal 2009) a fronte di delisting in
               numero  decisamente  superiore  benché  stabile  nel  tempo  A  destare  ulteriore
               preoccupazione, è un trend di apparente sostituzione tra i driver che spingono le
               imprese  ad  abbandonare  la  borsa.  Come  illustrato  in  un  recente  studio  della
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               Consob , negli ultimi anni, tra le cause di delisting, si è assistito ad un sensibile
               incremento delle Opa, sempre più frequentemente finalizzate alla revoca dalle
               quotazioni di imprese non più solo di piccola dimensione. In sintesi, laddove
               storicamente  i  delisting  derivavano  dalla  perdita  dei  requisiti di  quotazione da
               parte  di  società  in  crisi,  o  comunque  di  ridotta  capitalizzazione  e  con  azioni
               illiquide, negli ultimi anni ad uscire dalla borsa sono stati gruppi perfettamente in
               bonis, di medie-grandi dimensioni, pervenuti al delisting ad esito di un’operazione
               di mercato quale l’Opa.
                  Conseguentemente, la contrazione del listino domestico non è stata solo a
               livello di ampiezza (il numero complessivo di società quotate si è ridotto dalle 285
               del 2009 – picco massimo – alle 233 del 2021), ma anche di spessore. In termini
               di  capitalizzazione  di  borsa,  infatti,  nel  ventennio  considerato  il  saldo  listing-
               delisting è negativo per tre quinquenni su quattro, con una perdita complessiva,
               nell’intero intervallo 2002-2021, di 31 miliardi di euro di capitalizzazione .
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                  Le cause di una così netta contrazione dei  public markets globali sono state
               oggetto di numerose ricerche. Diversi studi, tra cui quelli dell’OCSE, hanno più
               volte sottolineato come la decisione di quotarsi in borsa sia divenuta nel tempo
               eccessivamente  onerosa.  Tale  onerosità  è  da  intendersi  in  senso  lato,  con
               riferimento  sia  alla  natura  dei  costi  (monetari/di  compliance)  che  alla  loro
               dimensione temporale (in IPO/nel continuo durante la quotazione). Benché di
               norma  si  associno  i  costi  di  quotazione  a  voci  quali  le  commissioni  di
               sottoscrizione e l’underpricing in sede di valorizzazione delle azioni, un recente
               studio sulla crisi dei mercati europei sottolinea come “the indirect ongoing costs of
               being listed are often cited as having the most significant impact on the decision to seek a
               listing, or, indeed, deciding to delist” . In ultima analisi, la regolamentazione e la
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               connessa vigilanza sui soggetti quotati in borsa può rivelarsi, in particolare per le
               imprese di minori dimensioni, un onere tale da favorire i processi di uscita dalla
               borsa e disincentivare il processo di quotazione.






                  6   Cfr. PICCO et al., Le OPA in Italia dal 2007 al 2019. Evidenze empiriche e spunti di discussione, 2021,
               Consob Discussion Papers, 9 gennaio 2021 (con Introduzione a cura di LENER).
                  7  Unica eccezione, il quinquennio 2012-2016. I dati si riferiscono al solo impatto degli apporti
               di “nuova capitalizzazione” da parte delle IPO e delle perdite di capitalizzazione per il delisting, e
               non tengono in considerazione, quindi, la variazione dei prezzi di borsa nel periodo considerato
                  8  EUROPEAN COMMISSION, Primary  and  secondary  equity  markets  in  the  EU, Written by Oxera
               Consulting LLP, November, 2020, 69.
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