Page 14 - Antonio Marinello - La rarefazione della sovranità tributaria dello stato nell’era dell'economia digitale e il progetto della Global Minimum Tax
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ANTONIO MARINELLO
5. La rarefazione della sovranità tributaria come effetto della globalizzazione
e della digitalizzazione dell’economia
Per comprendere la profondità dei fenomeni appena evocati, è frequente il
riferimento a vicende concrete, eclatanti, che hanno interessato di recente
Paesi appartenenti all’Unione europea e financo l’Italia. Ma i vari casi Apple,
Starbucks, Google e via discorrendo sono tutt’altro che episodi isolati,
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rischiano semmai di passare alla storia come emblemi di una stagione di
transizioni tra la vecchia e la nuova economia, come “casi di scuola” di cui
discorrere per dare una vivida rappresentazione di fenomeni in realtà molto
diffusi.
La verità è che altri casi emblematici potrebbero essere esaminati per
condensare tutte le difficoltà a cui vanno incontro i singoli Stati nel prevenire o
contrastare quelle forme aggressive di pianificazione fiscale che la
mondializzazione degli scambi e la digitalizzazione dell’economia hanno reso
possibili.
Come si è già osservato, il tentativo degli Stati di opporsi a queste pratiche è
stato sinora velleitario.
Può darsi che inizialmente questo tipo di rischi sia stato sottovalutato. Ma è
anche possibile che il mancato coordinamento dell’azione degli Stati sia dipeso,
almeno in qualche caso, da una precisa e motivata mancanza di volontà di
coordinarsi.
La crescita esponenziale dei profitti, a fronte di una tassazione sempre più
modesta ha infatti consentito negli ultimi anni l’accumulo da parte delle imprese
a vocazione internazionale di enormi risorse da destinare ad investimenti
28 Nella controversa vicenda che ha interessato Google, il gruppo ha realizzato ingenti profitti
attraverso la percezione di corrispettivi a fronte di servizi di pubblicità resi a imprese operanti nel
mercato italiano. Google espletava tale attività direttamente tramite una società residente in Irlanda,
che percepiva direttamente in quel Paese i relativi ricavi. Nel territorio dello Stato italiano era invece
presente una subsidiary, creata appositamente per lo svolgimento di funzioni ausiliarie,
essenzialmente di mero supporto alla prestazione principale pubblicitaria erogata all’estero, e in
effetti il compenso corrisposto per l’espletamento di tale funzione secondaria era commisurato allo
scarso valore di quest’ultimo. A seguito delle opportune verifiche, l’Agenzia delle Entrate, per
quanto di sua competenza, e la Procura della Repubblica sul versante penale, contestavano
l’esistenza di una stabile organizzazione occulta della casa madre presso quell’unico soggetto, la
controllata italiana che svolgeva funzioni meramente ausiliarie, in quanto dotato di strutture
materiali e personali necessarie e sufficienti per integrare la nozione di permanent establishment. Per
quanto qui interessa, vale la pena ricordare che negli anni oggetto di accertamento dal 2009 al 2013,
Google Ireland avrebbe emesso direttamente fatture nei confronti dei clienti italiani per l’ammontare
complessivo di 1,19 miliardi di euro, dissimulando di fatto la presenza di una stabile organizzazione
in Italia: i proventi percepiti della società irlandese sarebbero poi stati a loro volta ridotti pagando
royalties alla holding olandese (Google Nederland BV), e da questa riversati alla holding del gruppo,
avente sede legale in Irlanda, ma residente fiscale nelle Bermuda. Per una ricostruzione complessiva
della vicenda, cfr. PERRONE, Tax competiton e giustizia sociale nell’Unione Europea, 54 s.; CORDEIRO
GUERRA, Dal “brick and mortar” all’economia digitale e oltre, 15 s.; DORIGO, Il tramonto delle regole fiscali
tradizionali nell’economia del XXI secolo: rivoluzione algoritmica e tutela dei diritti, 34 s.
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