Page 26 - Giovanni Romano, Gianni Capobianco - Crediti professionali e procedure concorsuali. Riflessioni in tema di autonomia negoziale e regolazione della crisi d’impresa
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GIOVANNI ROMANO, GIANNI CAPOBIANCO
consegna «di un progetto [di sistemazione della crisi] alle valutazioni dei
creditori». Così che nell’apporto professionale ingaggiato dal debitore occorrerà
scorgere, ai fini del riconoscimento della prededuzione, un elemento acquisito
«proprio per assecondare, con l’instaurazione o lo svolgimento della specifica
procedura concorsuale cui è volta, le utilità (patrimoniali, aziendali, negoziali) su cui può
contare tipologicamente, cioè secondo le regole del modello implicato, l’intera massa dei
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creditori» .
In questo senso, dunque, la “funzionalità” esprimerebbe una necessaria
«attitudine di vantaggio per il ceto creditorio, compendiato nella stessa procedura
concorsuale in cui esso è organizzato», attenendo a crediti bensì maturati per
prestazioni svolte anche prima dell’inizio della procedura («e perciò al di fuori di
un diretto controllo dei relativi organi»), ma pur sempre «in una relazione di inerenza
necessaria allo scopo dell’iniziativa, più che al risultato». Il che, a sua volta,
permetterebbe di reputare non necessaria alcuna verifica ex post circa l’utilità della
prestazione del professionista, occorrendo, invece, che la suddetta attitudine di
vantaggio sia vagliata dal giudice del merito secondo prospettiva ex ante, la quale
– in ragione della dimensione istituzionale e organizzativa così attinta dal
ragionamento complessivamente espresso dalla sentenza – diviene, giocoforza,
particolarmente pregnante nel caso di mancato proseguimento del percorso
ristrutturativo inizialmente progettato, con conseguente approdo alla
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liquidazione concorsuale . Andrebbe, infatti, pur sempre apprezzata l’avvenuta
“trasformazione”, per tramite dell’originario tentativo d’impiego dell’istituto
concordatizio, degli acquisiti apporti professionali mercé «un [loro] innesto [che
possa dirsi] strumentale», se non ai mai raggiunti scopi ultimi della procedura,
quanto meno alla sua «finalità essenziale», che è «quella di far decidere ai creditori
[…] la convenienza o meno di una ristrutturazione fondata su un piano
realizzabile»; ciò che allora fonderebbe «la necessità che il concordato sia stato
almeno aperto», così che, resosi possibile il coinvolgimento dei creditori, possano
dirsi raggiunti «gli obiettivi minimali che lo caratterizzano tipologicamente».
85 La sentenza discorre, propriamente, di «[i]doneità causale dell’apporto del terzo alle finalità
istituzionali della procedura» e, d’altro canto, esclude che l’accesso «su mera domanda» alla procedura
sia atto in tal senso capace d’adeguata vantaggiosità per i creditori, ritenendo, anzi, «fallace
l’argomento della cristallizzazione della massa passiva e della retrodatazione del periodo sospetto,
ove segua il fallimento», posto che, di per sé considerata, «la regola giuridica della continuità fra
procedure non assicur[erebbe] alcuna portata preservativa, dal punto di vista economico, al valore
dell’impresa debitrice in prospettiva liquidatoria» (in questi, come nei successivi passi che citeremo,
i corsivi sono aggiunti).
86 E ciò proprio in quanto lo smarcamento dalla valutazione ex post dell’utilità di una prestazione
esauritasi nel contesto della prima procedura porrebbe l’esigenza d’individuare «un meno incerto
indice di collegamento tra il fatto genetico sopravvissuto come titolo del credito alfine avanzato in
prededuzione e la persistenza, riconoscibile anche nella nuova procedura, della adeguatezza della
prestazione all’intera vicenda concorsuale, iniziata con un progetto e terminata con esito del tutto diverso
da quello per il quale l’ingaggio delle prestazioni di terzi era avvenuto ad opera del debitore e così
voluto da entrambe le parti».
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