Page 54 - Giovanni Romano, Gianni Capobianco - Crediti professionali e procedure concorsuali. Riflessioni in tema di autonomia negoziale e regolazione della crisi d’impresa
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GIOVANNI ROMANO, GIANNI CAPOBIANCO




               debitore e professionista nel segno “concreto” d’una funzione – quella di regolazione
               della crisi 180  –, nulla tuttavia autorizza, a cospetto di un dato positivo che istituisce
               una clausola apertis verbis qualificata da una proiezione teleologica decisamente
               più limitata, a considerare detta prestazione sprovvista – riprendendo le parole
               della stessa Corte cass. – di rilevante “attitudine causale” se non entro la surriferita
               dimensione organizzativo-procedimentale.
                  Così facendo, si finisce per obliterare proprio il dato più significativo sul piano
               sistematico, ossia quello per cui la tutela riservata al professionista dalla norma di
               esenzione dalla  revocatoria è  per l’appunto  istituita in  ragione  di  un  criterio
               connettivo la cui portata trovasi, nella legge, indicata in modo specifico rispetto
               al dipanarsi della sequenza che, dal punto di vista della procedimentalizzazione
               degli atti e dei comportamenti (privati e pubblici) tesi al soddisfacimento dei finali
               interessi  presupposti,  globalmente  avvince  i  tre  referenti  giuridici
               dell’obbligazione, del negozio e della (procedura / strumento di) regolazione
               della crisi, proprio qui annidandosi, peraltro, l’equivoco in ordine alla possibile
               “trasformazione” surrettizia dell’obbligazione del professionista in obbligazione
               “di risultato” e, più precisamente ancora, l’impressione che, pur qualificata dalle
               sez. un. come obbligazione di mezzi ai fini dell’ammissione al passivo del credito
               (e dunque del riconoscimento del diritto al concorso), ai fini del conseguimento
               del particolare trattamento distributivo detta obbligazione sia stata invece trattata
               come «un’obbligazione di risultato “al cubo”», nel senso che «il risultato cui si
               guarda non è quello della prestazione del professionista ma quello della procedura
                     181
               in  sé» .  Viceversa,  occorre  abbandonare  tale  sorta  di  prospettiva  di

                  180  E, dunque, di un valore relazionale che porti dentro il giudizio una valutazione comparativa
               tra l’interesse sacrificato e quello realizzato con il compimento dell’atto che, nella giusta misura,
               rendendo il  professionista un creditore (parzialmente)  “diseguale”, tale interesse è  ammesso a
               sacrificare  nel contesto di una prospettiva assiologica evidentemente più ampia  rispetto a quella
               condensata nel(la lettura aintindennitaria delle discipline realizzative del) principio della par condicio
               creditorum.  Sul punto torneremo infra, 7.1.
                  181   Così  MARINUCCI,  La  Cassazione,  cit.,  424  s.  (corsivo  ns.).  Torna  qui  oltremodo  utile
               richiamarsi agli insegnamenti di MENGONI,  Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni di “mezzi”, in Riv.
               dir. comm., 1954, I, 188 ss., allorquando – seppur su di un piano solamente descrittivo, ma comunque
               a difesa del «momento di verità» riconosciuto presente nelle distinzioni tradizionalmente operate
               dalla dottrina francese (e cfr., di recente, l’approfondita analisi di DE LORENZI, Diligenza, obbligazioni
               di mezzi e di risultato,  in  Contr. impr.,  2016,  457 ss.) –,  l’illustre Maestro chiariva  che i  concetti di
               “mezzo” e di “risultato” sono necessariamente relativi perché, se ogni obbligazione ha ad oggetto
               la produzione di un risultato di utilità per il creditore (art. 1174 c.c.), ciò che conta è definire se, dal
               punto di vista della rilevante sequenza teleologica, nell’attività dovuta dal debitore sia ricompresa
               anche la produzione del risultato concreto finale capace di realizzare l’interesse creditorio primario,
               ovvero se, al  contrario, la  misura del “dover avere” del creditore sia  «circoscritta  ad un interesse
               strumentale,  ad un interesse  di secondo grado, che ha come scopo immediato un’attività del debitore  capace di
               promuovere  l’attuazione dell’interesse  primario»,  sì che, in tal caso, «il  risultato dovuto», pur potendo
               rappresentare «già un risultato quando sia considerato in sé stesso», in realtà «non è che un mezzo nella
               serie teleologica  che costituisce  il contenuto  dell’interesse  primario del creditore»  (corsivi ns.). Muovendo da
               ciò,  e pur potendo di principio  convenirsi con chi ha rilevato come, nell’arresto delle sez. un., la
               pronunzia del decreto d’ammissione non sia stata invero elevata a “risultato minimo” preteso dal

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