Page 15 - Antonio Marinello - La rarefazione della sovranità tributaria dello stato nell’era dell'economia digitale e il progetto della Global Minimum Tax
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IANUS n. 27-2023 ISSN 1974-9805
successivi, o magari, semplicemente, da parcheggiare temporaneamente presso
enti creditizi, intermediari finanziari, organismi di investimento, ecc., in attesa di
occasioni di mercato. In quest’ottica, peraltro, ciò che conta non è tanto la
destinazione specifica di tali somme; ciò che rileva è la forza d’urto finanziaria
che queste presentano sul mercato dei capitali, tanto da attirare l’attenzione di
quegli stessi Stati per i quali un prelievo fiscale anche minimo, unitamente al
deposito di tale liquidità presso gli intermediari finanziari nazionali, possono
costituire un incentivo molto forte a prevedere trattamenti di favore.
In un primo momento, insomma, è innegabile che per cogliere queste
opportunità ed attrarre a sé risorse tanto ingenti, alcuni Stati abbiano potuto
assumere comportamenti opportunistici, più o meno necessitati. Ciò ha
determinato una reazione scomposta e poco efficiente di fronte alla novità del
fenomeno e, nella diffusa rarefazione della loro sovranità tributaria, alcuni Paesi
hanno finito – letteralmente – per negoziare con i gruppi di imprese multinazionali
regimi fiscali di particolare vantaggio, per lo più attraverso il noto meccanismo dei
rulings.
Questo aspetto non è sfuggito alla dottrina più attenta, che ha messo bene in
evidenza la malcelata ipocrisia con cui molti Stati tendono ad approcciare questi
fenomeni, partecipando ai tavoli delle trattative con solenni affermazioni di
principio circa la necessità di perseguire politiche fiscali improntate alla
trasparenza e all’equità, per poi contraddire queste premesse nel momento in cui
adottano specifiche misure all’interno dei loro stessi ordinamenti .
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Si tratta di osservazioni che hanno un indubbio fondamento di verità e che
toccano un nervo scoperto delle attuali relazioni internazionali. Basti pensare a
quanto i fenomeni BEPS, anche nel nostro continente, si siano realizzati e
sviluppati grazie all’avallo diretto degli Stati, con conseguenze che toccano tanto
la harmful tax competiton nell’accezione più ristretta del termine, quanto la
generalizzata corsa al ribasso delle aliquote della corporate tax. Se, infatti, alcune
delle forme più spregiudicate di base erosion and profit shifting sono individuabili e
collocabili all’interno di ordinamenti quali Irlanda, Lussemburgo o Olanda, la
race-to-the-bottom delle aliquote sui redditi societari è una (timida, ma diffusa)
risposta che quasi tutti gli Stati europei hanno fornito .
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Questo oscillante atteggiamento si presta, se vogliamo, a differenti letture in
termini di sovranità tributaria degli Stati.
La lettura più accreditata fa leva espressamente sul sostrato economico della
rivoluzione digitale, nel senso che lo sviluppo delle connessioni virtuali ha
29 Per questi rilievi, cfr. soprattutto l’analisi di MARINO, La concorrenza fiscale: lealtà, slealtà o
semplice realtà?, in AA.VV., La concorrenza fiscale tra Stati, 72, il quale osserva puntualmente che per
lunghi tratti la questione della harmful tax competition è stata affrontata in modo superficiale e
sostanzialmente negligente, soprattutto dai Paesi industrializzati, che, pur operando attraverso
iniziative ufficiali nella direzione di un contrasto coordinato a tali pratiche, hanno poi adottate
normative nazionali volte ad attrarre capitali freschi dall’estero.
30 Cfr., in questi termini, MELIS, Evasione ed elusione fiscale internazionale, 1283 ss.
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