Page 31 - Luca Collura - L'eredità digitale: il problema della successione nell'account - IANUS: Diritto e Finanza - Quaderni 2023
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IANUS - Quaderni 2023                                        ISSN 1974-9805




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               dell’ereditando , ovviamente adottando le misure necessarie a rendere pubblici gli
               effetti della successione; il “costo” in parola, semmai, deve ricadere sulla società che
               fornisce il servizio e certat de lucro captando, perché, tramite lo stesso, si arricchisce, e
               non su coloro che, in quanto eredi dell’utente defunto e potenzialmente interessati a
               succedere nella sua posizione contrattuale, richiedendo l’accesso all’account, certant de
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               damno vitando . Non è accettabile, insomma, che per “rendere la vita facile” alla

                  75  A ciò, dopotutto, gli eredi potrebbero avere un interesse, magari anche economico. Si pensi
               ad un account per l’utilizzo di un social network che, anziché essere “gratuito”, richieda il pagamento
               di  un  corrispettivo  in  denaro  e  si  immagini  che  questo  social  network  riduca  costantemente  il
               corrispettivo richiesto, magari fino ad azzerarlo, a seconda dell’”anzianità” raggiunta dal rapporto
               contrattuale,  prevedendo,  per  esempio,  che  dopo  venti  anni  dalla  sottoscrizione  del  contratto,
               anziché per 59,00€ all’anno, il servizio sia fruibile gratuitamente, e che l’utente sia cliente già da 25
               anni al momento della morte. È evidente che gli eredi del de cuius, ove abbiano interesse a fruire di
               quel servizio, ne avrebbero anche a subentrare nel contratto stipulato dall’ereditando, perché, in
               questo modo, potrebbero fruire delle particolari condizioni cui lo stesso aveva ormai diritto. Lo
               stesso può dirsi nel caso che il defunto avesse effettuato un acquisto c.d. in-app, cioè avesse pagato
               per ottenere un servizio aggiuntivo rispetto a quello base fornito con la stipula del contratto per
               l’utilizzo del social network (per es., la funzione Premium di LinkedIn): evidente sarebbe per gli eredi
               dell’ereditando l’interesse a fruire del servizio aggiuntivo, evitando non solo di doverlo acquistare
               nuovamente essi stessi ma anche che il prezzo corrisposto dal loro de cuius vada perduto.
                  76  Per questo motivo, nonché per altri talvolta anche più importanti, è mia opinione – ma di
               questo tema, che esula da quello della presente trattazione, non mi occuperò in questa sede – che le
               società che forniscono servizi digitali – non solo quelle che gestiscono social networks, nonostante la
               cosa sarebbe auspicabile in primis proprio rispetto a loro, ma anche qualunque altra di quelle che
               forniscono  qualsivoglia  tipologia  di  servizio  digitale  che  permetta  l’interazione  con  terzi  –
               dovrebbero essere obbligate – e non dal legislatore italiano bensì da quello europeo, non potendo
               un  tema  del  genere  non  essere  disciplinato  in  maniera  uniforme  a  livello  comunitario  –  ad
               identificare compiutamente la loro controparte al momento della sottoscrizione del contratto, con
               ciò intendendo non la mera richiesta di comunicare i propri dati personali (di cui ad oggi non è
               possibile escludere la non corrispondenza al vero), ma una richiesta qualificata, cioè affiancata
               anche:  a)  dalla  trasmissione  di  un  valido  documento  di  riconoscimento  che  riporti  dati
               corrispondenti a quelli comunicati, corredata dall’obbligo di trasmettere in futuro altro documento
               che abbia eventualmente sostituito il precedente (per es., a seguito di scadenza o smarrimento della
               carta d’identità), pena l’obbligatoria sospensione dell’adempimento della prestazione da parte della
               debitrice;  b)  dall’obbligo  di  utilizzare  come  immagine  personale  e  nominativo  pubblico  quelli
               presenti  sul  documento  comunicato  (salva,  per  la  sola  immagine,  la  possibilità  di  utilizzarne
               un’altra, che però la società debitrice avrà preventivamente sottoposto ad un controllo volto ad
               accertare che la stessa ritrae proprio la controparte contrattuale e nessun altro); c) dall’impossibilità
               di  modificare  immagine  e  nominativo  pubblici  senza  il  nulla  osta  della  debitrice,  che  dovrà
               necessariamente concederlo se, effettuati i predetti controlli, avrà appurato il rispetto delle regole da
               parte dell’utente. A questi accorgimenti dovrebbe poi essere associata l’istituzione di un’autorità di
               controllo e garanzia del mercato dei servizi digitali di quel tipo (com’è oggi la Banca d’Italia per le
               banche e gli intermediari finanziari) e di un database in cui andrebbero iscritti coloro nei cui confronti
               il servizio è sospeso o ai quali comunque è per qualsiasi motivo inibito fruire di determinati servizi
               digitali (com’è oggi la Centrale Rischi della Banca d’Italia). Così operando si risolverebbero – o,
               come minimo, si riuscirebbero ad attenuare – moltissimi dei problemi di cui il mondo dei servizi
               digitali è oggigiorno portatore, quali, tra i tanti: a) la fruizione del servizio da parte di minorenni
               all’insaputa dei loro rappresentanti legali o, più semplicemente, da parte di minorenni (che non
               sempre sono pronti ad interfacciarsi con un mondo fluido e scarsamente controllabile come quello
               della  rete);  b)  la  fruizione  del  servizio  in  maniera  anonima,  con  la  conseguente  possibilità  di

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